Sentenze

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Rinuncia abdicativa al diritto di proprietà: analisi giuridica e profili applicativi

Quando le propietà immobiliari diventano solo un costo.

29 aprile 2025



A volte esistono casi in cui la proprietà di un bene immobiliare può diventare un peso economico piuttosto che un patrimonio di valore. Pensiamo al caso di un terreno con alberature da potare costantemente per evitare il rischio di cadute di rami su strade soggette al pubblico transito, o multiproprietà che hanno un costo di gestione annuale tale da far pensare che una qualsiasi vacanza altrove sarebbe costata immensamente meno, o casi in cui i costi di manutenzione di un immobile possano superare il valore dello stesso, o con elevata tassazione rispetto alla rendita. O addirittura nei casi in cui un terreno sia stato contaminato per fatto di terzi. Infine, casi in cui determinati vincoli pubblicistici impongano o facciano nascere nuovi obblighi in capo al proprietario. Insomma, in tutti questi casi si può pensare di addivenire alla rinuncia alla proprietà di quel determinato bene. Tuttavia anche la rinuncia alla proprietà (che tecnicamente di indica come rinuncia abdicativa alla proprietà) sta incontrando dei limiti che vorrei spiegare nell’articolo che segue.

 

a) Introduzione

Con il termine proprietà’ si intende il diritto reale per eccellenza, costituito dalla facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con losservanza degli obblighi previsti dalla legge. Non vi è dubbio quindi che tra i poteri espressivi di tale piena ed esclusiva facoltà in capo al proprietario vi rientrino anche la vendita, la modifica, o la compressione di tale diritto. Tuttavia, ci si interroga sulla possibilità che il proprietario di un immobile possa rinunciare unilateralmente al diritto di proprietà, determinando lestinzione del proprio diritto e il conseguente trasferimento del bene allo Stato ai sensi dellart. 827 c.c.. Questa ipotesi, apparentemente innocua, solleva complesse questioni sistematiche e applicative che richiedono unanalisi approfondita della normativa vigente, attesa la difficoltà di rinvenire un'interpretazione univoca nella giurisprudenza di merito e in dottrina. Il presente articolo si propone quindi di esaminare sommariamente il fondamento giuridico e le implicazioni della cosiddetta rinuncia abdicativa” alla proprietà immobiliare, mettendone in luce criticità e orientamenti giurisprudenziali.

b) Il concetto di rinuncia abdicativa alla proprietà e il quadro normativo di riferimento

Anzitutto, urge evidenziare come l'analisi della normativa civile suggerisca l’esistenza di una forma di rinuncia unilaterale al diritto di proprietà immobiliare.

In particolare, un primo argomento a favore di tale orientamento trae spunto dalle previsioni contenute nell'art. 1350 n. 5 c.c., il quale richiede a pena di nullità la forma scritta per "gli atti di rinunzia ai diritti indicati ai numeri precedenti", e nell 'art. 2643 n. 5 c.c., che analogamente indica tra gli atti soggetti a trascrizione "gli atti tra vivi di rinunzia ai diritti menzionati nei numeri precedenti". In entrambi i casi, infatti, tra i 'numeri precedenti' (e precisamente al n. l) è inclusa "la proprietà di beni immobili", in guisa tale da sottendere la possibilità, in linea generale, di rinunciare unilateralmente al diritto di proprietà su beni immobili.

Ulteriore elemento che depone in favore della generale ammissibilità dell'istituto in parola sarebbe altresì ricavabile dall'art. 1118, comma II, c.c.. 

Tale norma, nel prevedere che "Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni'', ancora una volta presuppone la possibilità di rinunciare in linea generale al diritto dominicale sugli immobili, altrimenti risultando superflua la previsione che espressamente escluderebbe la rinunziabilità del diritto sulle parti comuni.

Infine, di particolare importanza risulta l’art. 827 c.c. secondo cui "i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato”. Tale norma presuppone che possano esistere beni immobili privi di proprietario, ossia vacanti, e, contrariamente a quanto sostenuto da una parte della dottrina, la disposizione in parola non potrebbe considerarsi norma residuale unicamente finalizzata a dare 'copertura' a fattispecie imprevedibili ed estreme, come ad esempio l'emersione di una nuova isola in acque territoriali, ma esprimerebbe piuttosto un principio cardine del sistema, che prevede l'intervento dello Stato laddove non sia esigibile la prestazione richiesta al singolo privato.

La rinuncia abdicativa si configurerebbe quindi come un “atto unilaterale non recettizio” attraverso il quale il proprietario di un bene dichiara di non voler più esercitare il proprio diritto dominicale, distinguendosi dalla rinuncia traslativa in quanto non prevede un trasferimento diretto a favore di un altro soggetto, bensì la semplice cessazione del diritto, con conseguente devoluzione del bene allo Stato ex art. 827 c.c.. 

L'ammissibilità di tale istituto si fonda sul principio generale di autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., giacché la proprietà, in quanto diritto disponibile, sarebbe suscettibile di rinuncia.

Eppure questa interpretazione non è pacifica.

Lorientamento che esclude il riconoscimento, nel nostro ordinamento, della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare si fonda su uninterpretazione differente delle medesime disposizioni normative sopra citate.

 

In particolare, lart. 1350 c.c., rubricato Della forma del contratto”, concerne i contratti, sicché il suo n. 5 dovrebbe riferirsi esclusivamente ad accordi aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili, nellambito dei quali le parti operano una rinuncia. Di conseguenza, la rinuncia unilaterale al diritto di proprietà su un immobile comporterebbe lautomatico riacquisto di tale diritto da parte del soggetto che lo aveva precedentemente trasferito al rinunciante.

 

Si tratterebbe, dunque, di unipotesi di rinuncia traslativa, utilizzabile dalle parti sia nellambito della risoluzione concordata di un contratto traslativo della proprietà immobiliare – con il conseguente venir meno delle obbligazioni contrattuali per entrambe le parti – sia per dare esecuzione a una pattuizione che determini il venir meno degli effetti del contratto solo per una delle parti, ossia il rinunciante.

 

Considerazioni analoghe valgono per lart. 2643 n. 5 c.c.: nei numeri da 1 a 4, la norma disciplina i contratti” relativi a determinati diritti reali, inclusa la proprietà immobiliare. Ciò induce a ritenere che il n. 5, nel richiamare i diritti menzionati ai numeri precedenti”, non faccia riferimento ai diritti in sé, bensì ai diritti derivanti da specifici contratti. Ne consegue che gli atti tra vivi di rinunzia” contemplati dal n. 5 sarebbero diretti esclusivamente a determinare il venir meno, totale o parziale, dellefficacia di contratti preesistenti che abbiano costituito, modificato o trasferito diritti reali immobiliari, comportando in particolare il ritorno della proprietà del bene nella sfera giuridica del dante causa del rinunciante.

 

Infine, neppure l'art. 827 c.c. offrirebbe validi e risolutivi argomenti a sostegno del recepimento generalizzato, nel nostro ordinamento, della rinunzia abdicativa alla proprietà immobiliare. Tale norma, infatti, sembrerebbe essere stata introdotta nel codice civile semplicemente quale disposizione di "chiusura", ad evitare che possano esistere beni immobili acefali e come tali acquisibili per "occupazione" da parte di chiunque, atteso che l'occupazione della res nullius è un modo di acquisto della proprietà valevole solo per i beni mobili (ex art. 923 c.c.).

 

c) Orientamenti giurisprudenziali

Tuttavia, pur essendo ancora oggi discussa, alcune pronunce civili hanno sostenuto l’esistenza e l'ammissibilità della rinuncia abdicativa in via generale, purché rispettosa dei principi di meritevolezza e liceità della causa ex artt. 1322 e 1343 c.c..

Secondo la prevalente impostazione, infatti, la rinunzia esprimerebbe di per sé un interesse meritevole di tutela, coincidente con la dismissione della situazione giuridica, che a sua volta costituisce la massima espressione del potere di disposizione che compete al titolare di essa. Sarebbe necessario, tuttavia, che il soggetto agisse al solo fine di raggiungere l' effetto tipico della rinunzia, ovverosia la perdita del diritto, e che "il perseguimento di tale scopo presenti, in sé o nel complesso assetto negoziate, quegli elementi di giustificazione economico-sociale che l 'ordinamento consente di realizzare attraverso il negozio di rinuncia"

Pertanto, ogni qualvolta l'atto di rinuncia sia posto in essere dal privato al solo fine, egoistico, di trasferire in capo all'Erario ex art. 827 c.c. - e dunque in capo alla collettività intera - i costi necessari per le opere di consolidamento, di manutenzione, o di demolizione dell'immobile, facendo ricadere sullo Stato anche la responsabilità (sia civile: ex artt. 2051 e 2053 c.c., che penale, come nel caso di cui all'art. 449 c.p.) per i danni che dovessero in futuro occorrere a cose e/o a persone nel caso di crollo e/o rovina del medesimo immobile, “tale atto di rinuncia dovrebbe ritenersi nullo in ragione della non meritevolezza e/o illiceità della relativa causa in concreto ex artt. 1322 e 1343 c.c. perché in palese contrasto con le istanze solidaristiche immanenti nella funzione sociale della proprietà ex art. 42 Cost., e (comunque) con gli obblighi di solidarietà economica e sociale desumibili dall' art. 2 Cast., nonché con il limite del rispetto della sicurezza dei consociati ex art. 41 , comma II, Cost., l' una e gli altri costituenti limite inderogabile delle prerogative dominicali ex art. 832 c.c.” (cfr. T.A.R., Lombardia, 18.12.2020, n. 2553; T.A.R. Piemonte- Torino, Sez. I, 28.03.2018, n. 368; Trib. Ancona, Sez. I, 15.06.2021, n. 771)

 

Sebbene questa impostazione risulti pienamente condivisibile sul piano teorico, la meritevolezza e/o illiceità della causa, intesa quale limite alla rinuncia abdicativa del diritto di proprietà, richiede un ulteriore approfondimento alla luce dei principi solidaristici sopra delineati, nonché delle mutate condizioni climatiche e relative ricadute sul territorio.

 

Un caso paradigmatico è quello degli immobili situati in aree soggette a elevato rischio idrogeologico o geologico, ad oggi drammaticamente in aumento. 

Laccentuarsi dei fenomeni climatici estremi ha reso sempre più gravoso per i proprietari il mantenimento di beni che richiedono costosi interventi di messa in sicurezza, spesso imposti da normative di settore, e in tali contesti la possibilità di rinunciare al diritto di proprietà potrebbe rappresentare un meccanismo di riequilibrio, evitando che il singolo cittadino, privo di colpa, debba farsi integralmente carico di oneri di interesse generale.

 

In senso conforme, il Trib. Firenze, 15.09.2022, con sent. n. 2529 ha stabilito che:”Al contrario, risulta conforme ai principi solidaristici che, in presenza di un terreno con elevata pericolosità geomorfologica, che determina una situazione di rischio per la circolazione su strada pubblica, utilizzata quindi dalla collettività, in conseguenza della rinuncia alla proprietà da parte del privato, i costosi interventi di messa in sicurezza siano finanziati con risorse pubbliche provenienti dalla fiscalità generale, anziché gravare sul singolo proprietario, del resto neppure colpevole per la conformazione del luogo e la composizione del suolo”.

 

Sotto il profilo giuridico, la questione investe i limiti dellautonomia privata e la funzione sociale della proprietà, ex art. 42 Cost., che non può essere intesa come un obbligo illimitato in capo al titolare, specie laddove la persistenza del diritto si traduca in un onere sproporzionato e incompatibile con i principi di equità e ragionevolezza. 

La stessa disciplina civilistica prevede ipotesi in cui linteresse pubblico giustifica lablazione del diritto di proprietà (espropriazione per pubblica utilità, occupazione acquisitiva, decadenza per inadempimento degli oneri di conservazione nei beni culturali), delineando un quadro normativo che, sebbene indiretto, può fungere da riferimento per un eventuale automatico riconoscimento della rinuncia abdicativa in situazioni eccezionali. Leventuale traslazione di tali obblighi in capo alla fiscalità generale, attraverso lacquisizione del bene da parte dello Stato o degli enti locali, potrebbe  quindi costituire unipotesi compatibile con i principi solidaristici esposti, specialmente nei casi in cui il mantenimento della proprietà sia divenuto o stia diventando oggettivamente insostenibile.

 

d) Conclusioni

 

Alla luce di quanto sopra, ne consegue che il rifiuto assoluto di riconoscere la rinuncia abdicativa, in nome di una concezione statica e immutabile del diritto di proprietà, potrebbe risultare anacronistico rispetto alle nuove esigenze poste dalla tutela del territorio e della sicurezza pubblica. Lelaborazione di una disciplina che contempli invece un’ipotesi di rinuncia motivata, eventualmente subordinata a forme di controllo pubblico o a un riutilizzo del bene nellinteresse generale, potrebbe rappresentare quindi unevoluzione coerente con i principi costituzionali e con lequilibrio tra libertà individuale e responsabilità collettiva.

Sul punto, il Tribunale di L'Aquila con Ordinanza  del 15 gennaio 2024, RG n. 329/2021 ha rimesso la questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sollevando dubbi sulla compatibilità di tale istituto con il principio di certezza dei rapporti giuridici e con il divieto di imposizione di obblighi patrimoniali senza consenso. L'intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione potrà fornire un indirizzo interpretativo decisivo per chiarire la compatibilità di tale istituto con i principi dell'ordinamento giuridico italiano e con le esigenze di certezza del diritto, così da risolvere le incertezze che ancora avvolgono la questione.

 

Avv. Martino Menetti

Avv. Marco Minoccari